Dieci giorni di fuoco
Dalle proteste, alle parate, agli attentati non ci si annoia mai negli USA
Vi do il benvenuto alla quarantaduesima puntata di Caffè Americano, la newsletter su politica, cultura e letteratura statunitense. Io sono Alessia Gasparini, sono un’americanista, comunicatrice digitale e podcaster. Tradurre il magico ma complesso mondo politico, storico e culturale degli Stati Uniti è lo scopo di questa newsletter. Godetevi il caffè di oggi, buona domenica!
Los Angeles sottosopra
«Una settimana fa era tutto pacifico, a Los Angeles. Le cose si sono fatte difficili venerdì quando sono cominciate le retate. È questa la causa dei problemi che si sono verificati a Los Angeles e in altre città. Tutto questo è stato provocato dalla Casa Bianca. Il motivo? Non lo sappiamo. Ipotizzo che forse siamo parte di un esperimento nazionale per determinare fino a dove si può spingere il governo federale nel sostituirsi ai poteri dei governatori e lasciare i cittadini nella paura», ha detto la sindaca di Los Angeles (democratica) Karen Bass durante una conferenza stampa tenuta mercoledì scorso.
Tutto è cominciato dopo una serie di arresti dell’ICE, una sorta di polizia dell’immigrazione, che il 6 giugno ha arrestato dei presunti immigrati illegali mentre si trovavano sul posto di lavoro, oltre che in luoghi “comuni” come il parcheggio di Home Depot (un simil Leroy Merlin americano). Si tratta di veri e propri agguati, che spesso coinvolgono anche genitori di bambini che invece sono legalmente cittadini degli Stati Uniti, essendo nati lì. Lavoratori portati via come criminali davanti a tutti, in una giornata come le altre. Gli abitanti di Los Angeles hanno iniziato a protestare davanti al centro di detenzione per l’immigrazione illegale, e da lì è scoppiata la miccia. Donald Trump ha inviato la Guardia Nazionale per intervenire contro i manifestanti, una circostanza che non si verificava dal 1965. In quel caso, però, la sezione militare era stata mandata dal presidente Lyndon Johnson a proteggere i manifestanti del movimento per i diritti civili dalle politiche ultraconservatrici del governatore dell’Alabama George Wallace (uno che come motto elettorale aveva «Segregazione ora, segregazione domani, segregazione per sempre, giusto per dire). Non contro i manifestanti, dunque, ma a favore. Sono decisamente cambiati i tempi. Tutto questo, inoltre, è accaduto senza il consenso del governatore della California (anche lui, democratico) Gavin Newsom, che è stato praticamente esautorato almeno da questo punto di vista. Anche stavolta Trump ha voluto giocare al Richard Nixon della situazione, scimmiottando il presidente del “law and order” che utilizzò il pungo di ferro contro i manifestanti di sinistra dei movimenti del 1968, come ricorda il New Yorker qui.
Se è vero come è vero in ogni manifestazione che c’è sempre un gruppetto di facinorosi, il movimento era stato per lo più pacifico finché non sono cominciati gli scontri con le autorità, che per disperdere i dimostranti hanno utilizzato metodi per nulla delicati, come i proiettili di gomma. In questo video su TikTok si vede che hanno sparato anche sui giornalisti, come è capitato alla reporter australiana Lauren Tomasi. Nel video si sente uno dei militari dire all’altro qualcosa come «Hai sparato alla fot**ta reporter!», e sullo sfondo si vede una dinamica di ingaggio che non sembra affatto quella di un incidente. La situazione è stata decisamente repressiva, dunque, e la sindaca di Los Angeles ci ha tenuto a ribadire che la sua è una città accogliente e che ci tiene a «aiutare le persone a ottenere lo stato di legalità», a prescindere da come ci siano arrivate.
La Segretaria della Homeland Security Kristi Noem ci ha tenuto a specificare che non intendono assistere al ripetersi delle proteste che hanno avuto luogo nel 2020 dopo l’omicidio di George Floyd da parte della polizia. Noem non ha alcuna esperienza nel campo, ma è tristemente famosa per aver ucciso il cane della sua famiglia e per il video con dietro immigrati detenuti in celle simili a gabbie in un carcere a El Salvador. Le piace molto il pugno di ferro, però, tanto che durante una conferenza stampa di giovedì scorso ha assistito alla rimozione coatta del senatore della California (indovinate un po’? Democratico) Alex Padilla. Il motivo? Stava disturbando l’intervento della Segretaria. Noem si è “scusata” dicendo che non sapeva fosse un senatore. Voglio dire, sono cento in tutto, uno sforzo di memoria no? Altrimenti anche una cosa stile album degli invitati alle feste di Il diavolo veste Prada andrebbe bene, se ci sono problemi di memoria.
Le proteste No Kings e la parata di Washington D.C.
Ma perché questa newsletter è arrivata a quest’ora? Perché ieri si sono tenuti due eventi fondamentali: la parata per il 250esimo anniversario delle forze armate americane (che casualmente coincideva con il 79esimo compleanno di Trump), e le proteste del movimento No Kings in tutto il Paese.
Partiamo dalla parata: si sarebbe tenuta in Virginia come di consuetudine, se non fosse che Trump aveva il tarlo di farne una a Washington D.C. da quando aveva assistito ai festeggiamenti per la presa della Bastiglia in Francia nel 2017. Ricordiamo che per puro caso l’anniversario delle forze armate, che ricorda la decisione del Congresso Continentale del 15 giugno 1775 di formare un esercito che potesse combattere contro i reggimenti della madrepatria da cui si volevano ribellare, cadeva il giorno del compleanno del presidente. Un’occasione troppo ghiotta per poter rinunciare, e infatti nella notte italiana i carri armati hanno sfilato per le vie della capitale americana. Ovviamente hanno iniziato a imperversare i meme sui social, perché non è andata esattamente come Trump avrebbe voluto: gli spettatori erano pochini e hanno partecipato perlopiù in silenzio, lasciando come colonna sonora solo il cigolio dei mezzi militari. Molto diverso dalle aspettative del tycoon, che avrebbe voluto qualcosa di simile a quanto succede nella Corea del Nord di Kim Jong-un. Il discorso che ha tenuto Trump è stato più incentrato sulla letalità e la potenza dell’esercito che sui valori e l’importanza che può rappresentare per il popolo americano (non possiamo dimenticarci, però, che la letalità dell’esercito era stata un vanto anche della candidata democratica alla presidenza Kamala Harris durante il suo discorso alla Convention di Chicago, ahimè, aggiungerei).
Nel frattempo, le proteste del movimento No Kings si sono tenute in tutti e 50 gli Stati, e non solo nelle grandi città, ma anche in piccoli centri di Stati come l’Idaho dove Trump aveva vinto nel 2024. Considerando che uno dei principi che c’è alla base degli Stati Uniti è che il presidente non sarebbe mai dovuto diventare un re elettivo, la scelta del nome non è casuale. Trump ha voluto tenere una parata militare nel giorno del suo compleanno come a dire che l’esercito è fedele prima a lui, che al Paese, e la gente che forma quel famoso «We the people» che apre la Dichiarazione d’Indipendenza non ci sta. I mesi di torpore dopo l’elezione di Trump sembrano essere finiti, e anzi il dissenso contro il presidente e le sue politiche autoritarie si sta diffondendo a macchia d’olio. Le persone sfilano con la bandiera degli Stati Uniti rovesciata perché l’amministrazione Trump non rispecchia i loro valori, come ha ricordato Lucia Magi sul suo profilo Instagram. Le strade di Los Angeles si sono riempite di manifestanti No Kings insieme a chi era già in strada per protestare contro l’ICE, così come si sono fatti sentire a Chicago, New York, Philadelphia, Miami, solo per dirne alcune.
Uno Stato in particolare, però, ha avuto i riflettori puntati addosso: si tratta del Minnesota, dove in 25 mila di sono riuniti di fronte al Campidoglio statale nella capitale St Paul per protestare non solo contro le politiche autoritarie di Trump, ma anche per le conseguenze gravi che stanno provocando. Una guardia giurata travestita da poliziotto, Vance Boelter, ha sparato nella giornata di ieri a una deputata e a un senatore statale, Melissa Hortman e John Hoffman. La deputata e suo marito sono morti, mentre Hoffman e la moglie sono sopravvissuti. Boelter aveva il chiaro intento di ucciderli per motivi politici, e nella sua auto è stata trovata una lista con decine di altri obiettivi, tra cui attivitisti e centri per l’aborto. Il governatore Tim Walz è apparso in conferenza stampa molto provato (era amico di Hortman e Hoffman) e ha chiesto di non partecipare alle proteste per motivi di sicurezza, visto che Boelter è ancora a piede libero. Ma c’è stato chi ha voluto comunque dimostrare la propria solidarietà e il proprio dissenso nel vivere in un Paese dove la violenza si sta normalizzando, se non incoraggiando. Il New York Times suggerisce che gli attentati a sfondo politico potrebbero diventare i nuovi mass shooting e sparatorie nelle scuole, qualcosa di cui preoccuparsi e di cui avere paura, ma con cui bisogna imparare a convivere. Io, onestamente, spero proprio che non sia così.
Al prossimo caffè!