Vi do il benvenuto a questa puntata speciale di Caffè Americano, la newsletter su politica, cultura e letteratura statunitense. Io sono Alessia Gasparini, sono un’americanista, comunicatrice digitale e podcaster. Tradurre il magico ma complesso mondo politico, storico e culturale degli Stati Uniti è lo scopo di questa newsletter. Godetevi il caffè di oggi!
Due settimane lunghe poche ore
Nemmeno il tempo di leggere la notizia che il presidente Donald Trump si sarebbe concesso due settimane per provare a trovare un accordo diplomatico con l’Iran in merito alla questione bomba atomica, che è arrivata la breaking news: gli Stati Uniti hanno bombardato i siti nucleari iraniani. Ve lo ricordate il candidato alla presidenza che diceva che, una volta arrivato alla Casa Bianca, tempo pochi giorni e avrebbe messo fine a tutte le guerre? Ecco, ne ha appena iniziata una.
Anche stavolta, è successa una cosa che era piuttosto prevedibile, o meglio di cui c’erano tutte le avvisaglie. La maggiore preoccupazione dei commentatori politici durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2024 riguardava la scelta dell’entourage di un possibile secondo mandato di Trump: via le personalità critiche, dentro gli yes men. E così è successo. Stavolta, circondato da chi lo appoggia incondizionatamente e senza passare per il Congresso (cosa che, invece, è prevista per decisioni di questo tipo), nella notte italiana Trump ha deciso di mandare degli aerei armati di super bombe MOP, che riescono a penetrare anche nei bunker sotterranei come quello di Fordow. Le fotografie dei momenti decisivi all’interno della cosiddetta Situation room, una sorta di stanza delle strategie, vedono il presidente immortalato con in testa il suo cappellino MAGA rosso. Grottesco o iconico? Decidete voi.
Tutti noi, ovviamente, ci siamo chiesti: e adesso che succede? Difficilmente, ci ricorda la storia, accadrà quello che spera Trump, ovvero che il regime dittatoriale iraniano guidato dal 1989 dall’ayatollah Ali Khamenei si sgretolerà per lasciare il posto a una democrazia di stampo occidentale. Come ricorda il New Yorker in questo articolo, dalla Seconda guerra mondiale al 2010 più della metà dei regimi autoritari che sono caduti sono stati sostituiti da altri regimi autoritari, mentre solo un quarto ha abbracciato la democrazia. Se prendiamo in considerazione i Paesi dove la caduta del regime è stata innescata da un attacco militare, i numeri sono ancora più bassi. Come sottolinea l’esperto di Iran Karim Sadjadpour, Khamenei non è rimasto dittatore per tutti questi anni procedendo a casaccio, ma con un’attenta strategia di comando. Ora si trova di fronte a un grosso problema rispondere con troppa violenza, o con troppo poca, potrebbero comunque portare alla sua sostituzione. In più, il progetto nucleare era uno dei fiori all’occhiello di Khamenei, e ora che (a quanto pare) non ne è rimasto nulla, la sua legittimità al potere potrebbe essere messa in discussione. Da questo a vedere di nuovo la parità di genere in Iran, però, ci passa un bel po’ di roba.
Una cosa è certa: manca della coerenza. Un mese fa, durante i colloqui diplomatici in Arabia Saudita, il presidente americano sembrava essere di tutt’altro avviso. In quell’occasione, Trump ha dichiarato non solo che «alla fine, i cosiddetti nation builders hanno distrutto più nazioni di quante ne abbiano create», ci ricorda sempre il New Yorker, ma ci ha tenuto anche a sottolineare le differenze tra se stesso e i suoi precedenti repubblicani come ad esempio George W. Bush: «Negli ultimi anni, troppi presidenti americani si sono caricati dell’idea che è nostro dovere guardare nell’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per mettere giudizio nei loro peccati». Ah.
Vi sembra di vivere di nuovo nel 2001? Anche a me. Tutta questa fretta nell’andare a scovare l’atomica in Iran mi ricorda tantissimo le fantomatiche armi di distruzione di massa nascoste nell’Iraq di Saddam Hussein, armi che non sono mai state trovate, esattamente come non risulta che l’Iran stesse portando avanti alcun progetto di sviluppare la bomba atomica dopo il 2003. Persino la direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard aveva dichiarato a marzo scorso che l’Iran non aveva intenzione di produrre una bomba atomica, salvo poi essere costretta a ritrattare in queste ore dicendo che sono stati «i media malvagi» a strumentalizzare e modificare le sue dichiarazioni. I livelli di uranio arricchito registrati in Iran erano superiori ai quantitativi necessari alla produzione di energia per motivi civili, ci dicono i report. Ma chiunque sappia qualcosa della storia dell’atomica (o abbia visto il film Oppenheimer) saprà che non basta l’uranio arricchito per avere una bomba funzionante, e non sembra ci fosse intenzione di svilupparne una.
Un’altra cosa mi ha fatto ripensare al 2001. Ve lo ricordate Bush nella scuola, quando gli hanno detto che un aereo si è schiantato sul World Trade Center di New York? Ditemi se non lo avete rivisto un po’ in Bernie Sanders che, durante uno dei suoi rally del ciclo Fight Oligarchy a Tulsa, ha ricevuto la notizia che gli Stati Uniti hanno bombardato l’Iran. Dai.
Gli esiti, si spera, saranno meno drammatici di quelli del 2001. È vero che l’Iran è un Paese molto più potente dell’Iraq e dell’Afghanistan, ma gli attacchi di Israele prima, e degli USA poi sembrano aver lasciato molto poco per poter pensare a un contrattacco violento. E probabilmente è proprio questo che ha spinto Trump a decidere di andare a bombardare di persona: l’Iran era in ginocchio come non lo era mai stato, e lui voleva dargli il colpo di grazia.
Ora si deve guardare bene la sua situazione politica all’interno, perché i consensi su questa sua decisione sono molto pochi. Persino Marjorie Taylor Greene, la deputata qanonista anti tutto che l’ha difeso a spada tratta per tutti questi anni ha preso le distanze dai bombardamenti in Iran, così come lo hanno fatto storici supporter di Trump come Steve Bannon. In generale, gli americani non sono mai particolarmente entusiasti quando le loro forze armate vengono direttamente coinvolte in un conflitto all’estero, soprattutto i sostenitori della linea cosiddetta isolazionista di Trump che si proponeva di lasciare il resto del mondo ai propri affari, senza occuparsene in prima persona.
Cosa succederà nel mondo non lo sappiamo ancora, ma una cosa la sappiamo: quando è stato eletto Trump c’erano due guerre che grazie a lui sarebbero dovute finire subito, e ora ce ne sono tre. A scuola avrebbero detto mi dispiace, sei fuori tema.
Al prossimo caffè!